Poca, pochissima retorica si è respirata il 7 Maggio alla Feltrinelli di Catania nelle parole di Graziella Proto, giornalista da sempre impegnata sul fronte della lotta alla mafia, redattrice de I Siciliani di Giuseppe Fava e fondatrice di Casablanca, e dell’attore Alessandro Idonea, che ha prestato la voce alle poche brevi poesie intime e tendenzialmente malinconiche di Peppino Impastato, tratte dal volumetto “Amore non ne avremo” e ad alcuni testi scritti dal giovane di Cinisi per Onda Pazza, il programma satirico di Radio Aut, la celebre radio libera gestita dallo stesso Peppino Impastato e dai suoi compagni.
“Le parole di Peppino” sono risuonate ancora una volta mantenendo intatta la loro carica esplosiva, la gioia sovversiva e vitale. Quelle parole, così terribilmente attuali da sconfiggere la “retorica delle parole”, si riconsegnano al presente, integre nella loro lucida acutezza, nell’acume di un sarcasmo affilato e intelligente che permette anche di sorridere, anzi, di ridere veramente.
Lo strumento dell’irrisione e dello sberleffo, della ridicolizzazione di realtà incommensurabilmente più forti e organizzate rispetto a pochi giovani di un paesino vicino Palermo, Cinisi, regolarmente amministrato da una classe politica corrotta e connivente con la mafia, i cui vertici locali rispondevano ai nomi prima di Cesare Manzella e poi di Gaetano Badalamenti, era forse l’unico strumento realmente efficace. La forza dirompente di quella pirotecnica costruzione satirica era veicolata con consapevolezza lucida, senso di realtà, brillantezza di pensiero.
La metafora, il gioco di parole, l’allusione assonante, il dialetto, i nomi storpiati e trasformati per aggirare le querele, sono già, in sé, la testimonianza viva e presente della forza che una fionda può acquisire rispetto al Golia di turno. Come pietre, ma, così, ‘per ridere’, le parole erano scagliate contro una classe politica locale che diede , e, in altre forme dà ancora, il pasto ai business della mafia un territorio ferace e chi vi lavora(va). La denuncia informata e puntuale assume i toni della satira, da sempre lo spazio più fresco, creativo e libero per l’esercizio consapevole di una democrazia autentica.
Peppino visse il proprio ’68. Un ’68 privato e politico, il giovane, parente del boss Cesare Manzella, figlio del mafioso don Luigi, confinato negli anni del fascismo, quasi dirimpettaio di Tano Badalamenti, cresciuto in un ambiente in cui il retaggio mafioso è a tutt’oggi particolarmente radicato e viscerale, condusse a termine il processo di rottura con la tradizione di un passato atavico. Una tradizione mafiosa che in quegli anni rinnovava la propria immagine e le proprie attività con i miliardari affari di droga, speculazione edilizia, legati a doppio filo con il progetto Z 11, per la costruzione di una terza corsia dell’aeroporto di Terrasini, che consentisse i voli internazionali, e, in altri termini, l’ internazionalizzazione del traffico di droga. Affari d’oro.
Peppino Impastato fu ucciso il 9 Maggio del 1978. I resti del suo corpo, ridotto in frammenti a seguito della deflagrazione di un ordigno lungo la linea ferroviaria Palermo- Trapani, furono sparsi sulla strada, sui fili della corrente elettrica, ovunque intorno. Il ritrovamento, nella stessa data, del corpo di Aldo Moro occupò le prime pagine dei giornali, gettando un’ombra di inquietudine e sconcerto in tutto il Paese. Gli organi di informazione che riportarono la notizia della morte del giovane Giuseppe Impastato, nella maggior parte dei casi, veicolarono la notizia della morte accidentale di un terrorista che ordiva un attentato con cariche di esplosivo o di un pletorico, quanto surreale, suicida. Le vicende giudiziarie sono state particolarmente travagliate e complesse, e solo nel 2000 è stata presentata una relazione sulle responsabilità dei rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini. L’inchiesta è stata riaperta per la terza volta nel 2011.
Felicia Bartolotta Impastato, la madre di Peppino che, pochi giorni dopo l’omicidio, senza un corpo da piangere in una bara, andò a votare per il candidato della lista di Democrazia Proletaria Giuseppe Impastato, ha sostenuto da sempre e fino alla fine la ragione del figlio. Si è aggrappata alla verità con la tenacia dignitosa di una madre dolorosa e l’ha difesa con la schiettezza semplice del suo dialetto siciliano e delle sue parole oneste, ma, soprattutto, è stata la protagonista libera di una resistenza, lunga una vita, al sistema repressivo onnivoro che la cicondava.
Oggi di mafia si parla, ha concluso la Proto, ma in modo superficiale, con sovrabbondanza di cronaca e scarsità d’ inchiesta. La divulgazione sistematica e informata praticata con il coraggio e la forza di andare a fondo deve rendere partecipe la collettività di un fenomeno che condiziona in modo opprimente le nostre vite.